Disinformazione

No, il vaccino anti epatite B nei neonati non è una misura insensata

Questo tweet apparso su X, rimosso a seguito di segnalazioni mediante le note della collettività (ma di cui conserviamo lo screenshot), è un fulgido esempio di quella miscela letale di superficialità e sicumera che spesso si incontra sui social.

No, il vaccino anti epatite B nei neonati non è una misura insensata

Come vedete, con tono di sfida, viene affermato che l’epatite B si trasmetta essenzialmente «facendo sesso o scambiandosi siringhe», e che quindi la vaccinazione obbligatoria per i neonati sarebbe una bizzarra follia ministeriale, visto che – chiede retoricamente l’autore – «voi conoscete molti neonati che facciano sesso o usino siringhe usate?». Ora, per smontare questa boutade, non serve nemmeno essere virologi, basta avere un minimo di onestà intellettuale, curiosità e competenza. Andiamo con ordine.

La trasmissione dell’epatite B non è limitata ai comportamenti “a rischio” in età adulta

Il virus dell’epatite B (HBV) si trasmette con fluidi corporei infetti: sangue, secrezioni vaginali, sperma, latte materno. È vero che nei paesi occidentali la via sessuale e quella ematica (siringhe) sono oggi le più comuni tra gli adulti, ma questa è solo una parte della storia. In Italia e nel mondo, una delle più importanti modalità di trasmissione del virus è quella perinatale, cioè madre-neonato durante il parto. Sì, avete letto bene: il neonato può infettarsi passando attraverso il canale del parto, a causa del contatto con sangue e secrezioni materne infette. Sarebbe utile anche ricordare che l’epatite B è circa 100 volte più contagiosa dell’HIV: basta una minima quantità di sangue. La madre può anche non sapere di essere portatrice cronica (e in effetti molte donne scoprono solo durante la gravidanza la propria positività). In aggiunta, nei primi mesi e anni di vita, il bambino è anche esposto al rischio di trasmissione orizzontale (fra conviventi): morsi, graffi, scambio di oggetti che possono contaminarsi con tracce di sangue (spazzolini, forbicine, giochi). Nei bambini piccoli questo rischio è tutt’altro che nullo, soprattutto in contesti in cui il virus circola.

Vaccinare subito è strategico e scientificamente fondato

La vaccinazione nei neonati non è frutto di sadismo burocratico, bensì della più elementare logica sanitaria. Vaccinare precocemente protegge immediatamente, riducendo drasticamente i casi di infezione cronica, che sono quelli che portano a cirrosi e tumore al fegato decenni più tardi. Infatti, quanto più è precoce l’infezione, tanto più alto è il rischio che diventi cronica, tant’è che nei neonati il rischio di cronicizzazione è oltre il 90%, mentre negli adulti è inferiore al 10%. In altre parole, un bambino infettato alla nascita o nei primi mesi ha altissima probabilità di restare malato a vita, con danni gravissimi sul lungo termine. Quindi no, caro autore del tweet: non si vaccina un neonato “contro il sesso” o “contro le siringhe usate”. Si vaccina per evitare che si ammali in un momento della vita in cui non ha alcuna colpa né difesa. Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda da anni la vaccinazione universale dei neonati, perché è l’unico modo per ridurre in modo significativo la circolazione del virus. Nei paesi che hanno adottato la vaccinazione universale (come l’Italia dal 1991) l’incidenza di epatite B acuta è crollata. E anche i casi di epatocarcinoma nei giovani adulti stanno diminuendo di conseguenza. La sanità pubblica ovviamente ragiona su popolazioni, rischi medi e prevenzione, non sulle caricature mentali di chi preferisce indignarsi piuttosto che informarsi.

Conclusioni

La vaccinazione contro l’epatite B nei neonati è una misura di straordinaria efficacia, giustificata da solidissime evidenze scientifiche e da una strategia globale di eliminazione di un virus pericoloso. Oltre ad essere un gesto di protezione individuale, è anche un atto di responsabilità collettiva. Francamente, se non si ha nulla di intelligente da dire sull’argomento, forse sarebbe meglio limitarsi a contemplare l’efficacia dei programmi vaccinali, anziché tentare di deriderli con argomenti così maldestri.

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