Editoriale

Il video virale di Scampia: l’informazione e i social che non vorremmo

Anche i sassi conoscono la storia del video virale di Scampia. Purtroppo la conosciamo: un video che ritrae dei giovani che bullizzano un ragazzino, costringendolo ad adempimenti orribili ed umilianti per un po’ di denaro.

Il video è stato postato, in buona fede, da un consigliere di Europa Verde. Ma i social e una parte dell’informazione hanno compiuto l’eterogenesi dei fini che accade sempre in questi casi.

L’attenzione è passata dalla denuncia di un caso di bullismo, che peraltro secondo il Mattino potrebbe non essere recente e non riguardare un disabile, sia pur restando bullismo, all’attenzione sul video stesso.

Sappiamo benissimo, lo sappiamo bene: è severamente censurato l’atteggiamento di chi condivide e fruisce di video di persone in grave stato di alterazione.

Più volte il Garante si è pronunciato sul diritto alla dignità della persona: diritto che rischia di essere macchiato dalla morbosità del pubblico.

Fomentata dalla catena di condivisioni virali.

Quando la condanna passa attraverso la diffusione, spesso la condanna passa in secondo piano.

Il video virale di Scampia diventa la versione 2.0 del “turismo del crimine/del disastro”. Non abbiamo più gente che si reca in pellegrinaggio nei luoghi del dolore, del morboso e della sofferenza.

Ma abbiamo gente che, con un click, cerca video per sfamare la propria curiosità.

E quando la pietà, il giusto sentimento di pietà, viene annegato nel desiderio morboso di essere i primi a vedere “il video virale di Scampia”, la pietà stessa non muore?

Anche per questo noi il video virale di Scampia non ve lo mostreremo. Non ce lo chiedete, non avverà.

AGGIORNAMENTO

Purtroppo la storia ci ha dato ragione. Il video era effettivamente dello scorso anno, e raffigurava non un disabile ma un tossicodipendente in stato di alterazione.

Cosa comunque gravissima, il video non avrebbe dovuto girare e riapparire di anno in anno riportando una persona fragile alla gogna.

L’autore ha confessato di aver agito mosso da un desiderio di “visibilità”. Che purtroppo gli è stata fornita. A piene mani.

E non avrebbe dovuto essere così.

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