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Google ci da ciò che cerchiamo o ciò che vuole farci trovare lui?

Quando cerchiamo qualcosa online, ci aspettiamo risposte. 

Una cosa che all’apparenza può sembrare semplice ed immediata, una cosa che viene decisamente data per scontata dalla maggior parte degli internauti, nasconde in realtà processi complessi ed automatizzati.

Le domande cui cerchiamo di trovare una risposta oggi sono molteplici: 

  • Google è al nostro servizio o al servizio della verità?
  • Quanto risposte sono “sincere” le alternative di ricerca che ci vengono proposte dai motori di ricerca?
  • Google (e gli altri motori di ricerca) ci mostrano ciò che inconsciamente desideriamo vedere, rafforzando le nostre convinzioni preesistenti, o ci mettono di fronte alla dura realtà?

Un recente studio getta luce su questa affascinante questione.

L’effetto di ricerca ristretta

Una ricerca che ha coinvolto circa 10.000 partecipanti si è posta l’obiettivo di capire se gli algoritmi dei motori di ricerca influenzino le nostre credenze proponendoci la loro visione delle cose o se, viceversa, si limitino a confermarle, impedendoci di scoprire nuove prospettive pur di farci leggere ciò che ci aspettiamo

Google ci da ciò che cerchiamo o ciò che vuole farci trovare lui?

I risultati sono stati sorprendenti.

Nella prima fase dell’esperimento, i partecipanti sono stati lasciati liberi di condurre le ricerche in totale autonomia: è emerso ciò che i ricercatori hanno definito “effetto di ricerca ristretta“. 

Sintetizzando, circa un partecipante su quattro ha inconsciamente focalizzato la propria ricerca sul confronto tra aspetti positivi e negativi di un argomento, in base ai propri preconcetti, e questo ha portato a una notevole riduzione dell’ampiezza dei risultati mostrati. 

La conseguenza? Pochi partecipanti hanno cambiato idea, e le loro convinzioni preesistenti ne sono uscite rafforzate: l‘algoritmo, in questo caso, sembrava semplicemente sottolineare la correttezza della direzione di partenza dell’utente.

La seconda fae

Nella seconda fase dell’esperimento, i ricercatori hanno utilizzato un motore di ricerca “truccato”, progettato per mostrare risultati più ampi ed eterogenei, indipendentemente dai termini di ricerca utilizzati dagli utenti. 

In questa condizione, si è registrata una chiara propensione dei partecipanti a rimettere in discussione le proprie credenze, un risultato diametralmente opposto rispetto alla prima versione del test: il risultato suggerisce che quando siamo esposti ad una molteplicità di informazioni, anche se non lo facciamo in modo conscio, siamo più propensi a considerare punti di vista diversi e, potenzialmente, a modificare le nostre convinzioni.

Di chi è la colpa? Dell’algoritmo o dell’utente?

La riflessione con cui ci lasciamo è la seguente: la prima versione dell’esperimento è quella più aderente alla realtà, in cui siamo liberi di ricercare le informazioni online senza la supervisione di nessuno (anche se abbiamo già visto come in realtà sia possibile, ad oggi, influenzare le scelte dei motori di ricerca, ne abbiamo parlato ad esempio qui).

Quindi di chi è la “colpa” della creazione di queste “eco chambers virtuali”? 

È del famigerato algoritmo?

In parte sì, poichè viene programmato per comportarsi in questo modo.

Ma è innegabile che parte della responsabilità è anche nostra, per come agiamo secondo natura. 

L’algoritmo, in fin dei conti, è progettato per cercare di compiacerci, offrendoci ciò che ritiene più rilevante in base alle nostre ricerche e al nostro comportamento online. 

Se le nostre ricerche sono ristrette e guidate dai preconcetti, è probabile che l’algoritmo ci mostri ciò che già ci aspettiamo, rafforzando così il ciclo.

Questo studio ci invita a riflettere su come interagiamo con i motori di ricerca e sull’importanza di essere consapevoli dei nostri bias cognitivi. Se vogliamo veramente scoprire “risposte vere” e ampliare le nostre prospettive, forse dobbiamo prima di tutto modificare il nostro modo di cercare.

Tu cosa ne pensi? Credi che gli algoritmi ci intrappolino in una bolla di conferma, o siamo noi stessi a limitare la nostra ricerca della verità?

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