Cominciano le esecuzioni in Iran, brutali, per impiccagione. Vi avevamo parlato in passato delle “promesse” del regime. Esaltate dai media, promesse altisonanti. Si parlava di polizia morale sciolta “per ordine dei responsabili”, obbligo del velo ridotto e discusso in parlamento ed altre concessioni.
Alcuni interpreti avevano fatto notare che al momento erano solo parole al vento. Avevamo purtroppo fatto notare che la parola di qualcuno è buona solo quanto la può mantenere. Temevamo fossero promesse da marinaio. E quanto pare lo erano.
Ci sono già undici condannati a morte: il primo, Mohsen Shekari, ucciso per impiccagione per l’assurdo reato di “Guerra contro Dio” per aver bloccato una strada ed aver ferito un paramilitare.
Assurdo, ma non in una teocrazia dove i governanti si sentono e si ritengono incarnazione della volontà divina.
Altri attentono in cella la loro condanna, come Fahimeh Karimi, condannata a morte per un calcio ad un paramilitare.
Per un calcio in un Iran dove si moltiplicano gli avvistamenti di donne che durante gli scontri di piazza sono state coscientemente colpite con pallini da caccia puntati al viso e ai genitali.
Lo scopo neppure troppo malcelato, come in un perverso film del terrore, è aggiungere alla punizione del regime la condanna addizionale di un viso permanentemente sfigurato e un corpo martoriato da ferite difficili da guarire e destinate a lasciare cicatrici.
Occhi, visi, seni e genitali destinati a portare i segni della violenza di un regime che, ci pare evidente, non ha mantenuto alcuna delle promesse lodate dalla stampa.
E non vi sono segni che intenda farlo, peraltro.
Per il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, sono oltre 30 le persone che rischiano la stessa fine, cui aggiungere le almeno 400 vittime lasciate sulla strada.
“Avevamo messo in guardia che in Iran, insieme ai morti nelle strade, ci sarebbero stati morti sul patibolo. Un’altra trentina rischiano l’impiccagione. Cosa attende la comunità internazionale, compreso il governo italiano, a esprimere il massimo della protesta?”
Purtroppo, temevamo questo esito.
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