Prima del polistirolo: la tecnica di conservazione kangina in Afganistan
Per millenni l’umanità si è posta il problema di procurarsi da mangiare: subito dopo si è posta il problema di come riuscire a mettere da parte cibo per i momenti peggiori, quando cibo non è più facile trovarlo eppure si deve mangiare. Il metodo tradizionale “kangina” in Afganistan è uno di questi.
Per millenni l’umanità ha sperimentato diverse tecniche: la salagione, l’affumicamento, la stagionatura, la salamoia… anche senza avere conoscenze precise dei patogeni, il genere umano scoprì presto che usando sostanze commestibili dalle proprietà antibatteriche anche moderate come il sale o controllando l’esposizione all’aria degli alimenti essi si sarebbero deteriorati più lentamente, consentendo quindi di conservare cibo nei periodi di abbondanza e non morire di fame nei periodo di carestia.
Ci è stato segnalato un video tiktok che parla del tradizionale metodo afgano “gangina”: per quanto possa sembrare strano, questo è uno di quei metodi.
Prima del polistirolo: la tecnica di conservazione kangina in Afganistan
Nel metodo Gangina o Kangina si rinchiudono grappoli di uva in contenitori di argilla creati intorno ai grappoli stessi.
Secondo il professore Jean Hunter della Cornell University il kangina è una semplice applicazione delle leggi della fisica: creando un contenitore di fango argilloso e paglia si crea un’atmosfera controllata nel contenitore (l’aria entra con difficoltà, ovviamente) e l’umidità viene regolata venendo parzialmente assorbita dalla paglia. Una parte dell’ossigeno resta nel kangina tenendo il grappolo fresco più a lungo, e l’alta concentrazione di anidride carbonica inibisce la proliferazione fungina e batterica.
È senz’altro esagerato dichiarare che la frutta conservata in questo modo duri anni ed anni, ma sicuramente la conservazione viene prolungata in zone rurali dove ovviamente è difficile usare celle frigorifere alimentate a corrente.
L’effetto è quello di un buon Tupperware, sostanzialmente, a costo praticamente zero, rinforzato dal fatto che l’uva usata, una varietà locale nota come “taifi”, ha una spessa buccia e ben si presta a tale conservazione.
Ulteriori esprimenti hanno portato a cercare di replicare il metodo kangina integrandolo nella moderna catena del freddo e dei trasporti, usando confezioni di polistirolo.
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