Ma le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? E la privacy?

di Bufale.net Team |

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Ma le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? E la privacy? Bufale.net

Ma le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? Questa una domanda che ha provocato un effetto farfalla che ci ha portato a farci diverse domande.

Ma le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? E la privacy?

Ma le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? E la privacy?

Domande dalle quali non so se usciremo migliori, ormai ne dubito. Ma sicuramente più colti.

Il caso comincia da ancora prima di quanto aspettassimo: Maggio 2022

La storia di cui parliamo parte a cavallo tra Maggio e Giugno 2022, data in cui la TV pubblica solleva il caso: nella metropolitana a Milano esiste un problema furti.

Esiste, non va negato, sarebbe inutile negarlo.

Esistono anche norme che differiscono la pena per le madri di bambini inferiori ad una determinata età (un anno di vita) o le donne che hanno appena partorito (puerpere). Norme a tutela va detto del minore, non della puerpera stessa.

Norme negli anni temperate da diversi correttivi: un ruolo maggiore del padre che dovrebbe ridefinire il concetto di “ove non sia possibile affidamento”, una recente riforma del regolamento penitenziario che assicuri l’assistenza sanitaria e pediatrica al piccolo e l’interessamento degli enti preposti ad esempio.

Questo non accade: si sono moltiplicati quindi negli anni i casi che, sia pur rappresentando casi limite, sono macigni sulla fiducia del cittadino.

Il caso di una donna di 33 anni, che ha rinviato l’appuntamento con la giustizia per nove gravidanze, e una 33enne condannata, infine, a 30 anni di carcere dopo venti arresti.

Come vedete, alla fine la giustizia arriva a destinazione. Ma la percepita lentezza, è quella che fa dire a molti “è tutto inutile”.

Ma allora le borseggiatrici non finiscono mai in carcere? fra valori costituzionali e interessi pratici

Una circolare del 2016, chiamata dalla stampa “Salva Rom” sostanzialmente snelliva una procedura determinata dalla normativa, evitando la formalizzazione dell’arresto per quei casi che, a tutt’evidenza sarebbero sfociati nella dilazione dello stesso per le citate motivazioni (come essere incinte o altri casi limite).

Stranamente però tale notizia non viene quasi mai messa in relazione a notizie di segno eguale e opposto fa altrettanto rumore che mostrano l’altro lato a cui potrebbe portare la “giustizia” che molti sui social invocano.

Senza fare moralismi comunque ecco che a maggio una circolare diramata dalla Procura di Milano inverte lacircolare del 2016.

In pratica (anche a seguito del clamore mediatico) il caso viene comunque valutato, nell’ottica di considerare l’arresto anche per quei casi limite per poi valutarne la situazione.

L’arresto della puerpera diventa dall’essere un atto non raccomandato ad essere un atto raccomandato.

Giustizia è fatta direte voi no? E in un certo senso, possiamo anche affermare che la circolare del 2022 è diventata un forte deterrente per lo sfruttamento delle donne incinta.

Se la donna incinta sa che non potrà evitare l’arresto, eviterà il furto, no? Abbiamo però un problema: il diritto del cittadino a non essere derubato, che è indubbio come il diritto del nascituro.

L’associazione Antigone rileva otto puerpere detenute senza servizi specialistici.

Otto non per caso: sarebbero state nove, ma una di loro ha perso il bambino.

«La legge italiana – sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone – permette che la donna in caso di gravidanza possa non entrare in carcere ed essere sottoposta a diversa misura. Si tratta di una scelta di civiltà, che tutela la salute della donna e del bambino».

Diversa misura, che non significa, attenzione, assenza di misura.

Insomma occorre trovare una soluzione che non metta solo una “pezza”, ma che consideri tutto l’iter di queste vicende e che in primo luogo tuteli il nascituro e anche la sicurezza dei cittadini.

Sì, ma la privacy?

Recentissimi fatti di cronaca hanno portato ad una nuova discussione. Ovvero se sia sensato che il cittadino “si autotuteli” filmando le borseggiatrici.

Cosa che ha scatenato una vera e propria corsa all’orrore con trasmissioni televisive pronte a intervistare persone autoconfesse borrseggiatrici e dare loro spazio mediatico.

Partiamo per questo dal finale: come abbiamo visto per il caso di Matteo Messina Denaro la pubblicazione non è mai la soluzione.

Può sembrarlo, può sembrare catartico. Ma non lo è. Dove ci porta? Alla fine porta alla spettacolarizzazione mediatica, a quella forma di tutela che si traduce in nessuna tutela per nessuno.

Di tutti. Anche se avessimo davanti Jack lo Squartatore, Jeff Dahmer redivivo, lo Zodiac Killer o UnaBomber, non dovremmo invadere quell’ultimo centimetro per po’ di likes.

Perché si crea un precedente, un piano inclinato. Se è giusto scavare nel personalissimo e nell’insondabile di un “cattivo”, come per Matteo Messina Denaro, se passa il messaggio che al criminale non si devono le garanzie di un processo basato sulla legge, allora non diventiamo migliori. Diventiamo peggiori.

Se sostituiamo la giustizia al cacciatore di taglie, liberiamo l’arbitrio. Ammettiamo che la giustizia ha fallito, il crimine diventa una prova muscolare tra il criminale e la vittima e prevale il più forte.

Come quel criminale che ha scelto tra l’agire secondo diritto e secondo quello che lui riteneva un agire a lui conveniente la seconda ipotesi.

Anche il più feroce dei criminali va condannato con un processo inoppugnabile che non gli dia scappatoia alcuna, un atto di giustizia verso il diritto da lui ripetutamente calpestato e la collettività tutta che merita ogni crimine sia portato alla luce.

E nel farlo, che non tolga a noi le garanzia di cui noi cittadini onesti abbiamo bisogno.

Conclusione? Forse, ma anche no

Vorremmo in questo caso poter concludere, ma una conclusione non c’è. Sulla vicenda di maggio è stata aperta un’indagine, e la parola è passata quindi al diritto.

Non possiamo dare torto a chi lamenta una presunta impunità del borseggiatore, ancorché possiamo evidenziare i casi in cui avviene.

Non possiamo perché quei casi sono un colpo inferto alla credibilità delle istituzioni. Ma lo è anche l’eccesso opposto in cui il prezzo finale lo paga il minore, se non chi ancora non è nato.

Non potete credere a chi offre soluzioni semplici: legalmente, moralmente, eticamente soluzioni semplici non ce ne sono.

Un potenziamento degli strumenti della Giustizia ci potrebbe avvicinare.

Questa notizia è già “roba dell’estate”, ma torna in un altro caso in cui bambini sono coinvolti: l’evasione dal Beccaria.

Evasione che si sarebbe potuta scongiurare recuperando la funzione rieducativa del carcere, perché fallire nella detenzione significa fallire la società tutta.

I recenti fatti di cronaca hanno tragicamente riaperto il dibattito, mettendo a nudo tutta la nostra inadeguatezza.

Abbiamo bisogno di risposte del diritto celeri e inoppugnabili, non di bagarre televisive.

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