Ma davvero hanno portato un morto in tribunale con AI?

Ci segnalano i nostri contatti un testo secondo cui hanno portato un morto in tribunale con AI “per farlo parlare col giudice e l’assassino”. Siamo un po’ al confine con la clickbait va detto: la verità è più interessante e complessa, ancorché meno distopica e quindi viralizzabile.

Ma davvero hanno portato un morto in tribunale con AI?
Si tratta di un modo creativo per integrare il VIS, il “Victim Impact Statement” presente nell’ordinamento di 44 Stati Americani, il momento in cui alle vittime di un crimine violento (in caso esso risulti nella morte di qualcuno, alle vittime di danno tanatologico, in pratica ai sopravvisuti) è consentito esprimere alla Corte il loro punto di vista perché di esso ne sia tenuto conto.
Ma davvero hanno portato un morto in tribunale con AI?
Nell’era moderna ci sono molti modi per collazionare dei VIS: di persona, leggendo dichiarazioni, inviando registrazioni… nel caso di specie, Stacey Wales ha raccolto 48 dichiarazioni di gente diversa che nella vita ha conosciuto il fratello Christopher Pelkey, assassinato in un caso di road rage.
Sostanzialmente nel 2021 Gabriel Paul Horcasitas ha reagito al tipico ingorgo da luce rossa nel traffico cittadino intenso, quello dove c’è sempre il soggetto rissoso che inizia a suonare il clacson come se la sua vita dipendesse dall’attraversamento al primo motore imballato o autista lento nell’accelerare, impugnando un’arma e uccidendo a colpi di pistola Pelkey, veterano e padre di famiglia.
Dopo qualche inconveniente procedurale, si è pervenuti all’attuale processo quest’anno, con in ballo una condanna praticamente decennnale per Horcasitas.
Stacey Wales (ovviamente, nubile Pelkey) una volta scritta la sua dichiarazione di impatto, la sua VIS, ha deciso che non sarebbe stato giusto limitarsi a leggerla.

Estratto della VIS
La sua VIS si basava su un semplice concetto: cosa il fratello (a cui era legatissima, l’aveva anche condotta all’altare in vece del padre) avrebbe potuto dire se fosse ancora vivo.
Ha così redatto la sua VIS, integrato il testo con un’intervista rilasciata al fratello ancor vivo, e si è affidata al marito Tim Wales per creare un deepfake convincente che desse forza alla VIS.
Il difficile sono stati i dettagli: la barba da “sistemare” perché oscurava il labiale, ottenere una risata convincente da registrazioni di gruppo… ma alla fine non solo Wales è riuscito nell’opera, ma ha deciso di registrare un suo audio chiaro e tutto il necessario perché, in futuro, fosse possibile ad eventuali suoi eredi ottenere un deepfake.
Il risultato
Il video ha quindi trovato la sua strada tra le VIS: sarebbe esagerato dichiarare che lo stesso sia stato l’unico fattore per la decisione, ma la Corte Superiore della Contea di Maricopa ha in seguito condannato Orcasitas a 10 anni e mezzo per omicidio preterintenzionale.
Secondo la D.ssa Maura Grossman, docente all’Università di Waterloo, l’uso di un deepfake della vittima come succedaneo delle VIS non è un atto latore di problemi etici e morali.
Contrariamente a casi, anche illustri, di citazioni legali (con valore di legge, nel sistema americano) “allucinate” dalle AI, ovvero inventate di fatto e tentativi di crearsi il proprio “avvocato virtuale a dispense”, una VIS non è un mezzo di prova e in questo caso non era coinvolta una giuria. Era un mezzo col quale il giudice ha potuto conoscere la visione dei sopravvissuti e dei cari della vittima, in questo caso come la sorella lo vedeva.
Un uomo buono che, secondo il deepfake/VIS della sorella, avrebbe volentieri perdonato Horcasitas se fosse sopravvissuto.
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