“La paura della peste distrusse Atene, non la Peste”, Tucidide e la piaga dei virgolettati inventati

di Bufale.net Team |

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“La paura della peste distrusse Atene, non la Peste” è un post virale che stiamo vedendo dall’inizio della pandemia. E che dimostra senza ombra di dubbio una sola cosa.

"La paura della peste distrusse Atene, non la Peste", Tucidide e la piaga dei virgolettati inventati

“La paura della peste distrusse Atene, non la Peste”, Tucidide e la piaga dei virgolettati inventati

La piaga del virgolettato inventato, malattia infodemica più terribile di ogni pestilenza umana, non guarda in faccia e non risparmia neppure i morti.

Sappiamo come funziona il virgolettato inventato: con la scusa che “in un titolo non ci può stare tutto l’articolo, vero?” si scrive qualcosa che si immagina essere un riassunto di quanto proferito dall’intervistato ma non lo è.

Un esempio è una lunghissima intervista di Joe Biden, nella quale rispondendo alla madre di un ragazzino discriminato per il suo orientamento sessuale le rispondeva che ciò non gli pareva giusto e che nessuno dovrebbe essere discriminato.

Di virgolettato in virgolettato, eccola diventare “Biden promuove l’aborto al nono mese e il cambio sesso a 8 anni. Bergoglio si è congratulato”

Parliamo in questo caso dello stesso fenomeno: in tutto il libro secondo della “Guerra del Peloponneso” non è possibile invenire la frase citata in alcuna forma.

È, a tutti gli effetti, un riassunto grottesco e distorto di una intera sequenza.

“La paura della peste distrusse Atene, non la Peste”, Tucidide e la piaga dei virgolettati inventati

Difatti, prima di aprile 2020 il virgolettato citato non appare in nessuna fonte.

È il tentativo di sintetizzare, malriuscito come tutti i tentativi, il Libro II della “Guerra del Peloponneso”.

Esattamente questa parte:

51. È questo il generale e complessivo quadro della malattia, sebbene sia stato costretto a tralasciare molti fenomeni e caratteri peculiari per cui ogni caso, anche se di poco, tendeva sempre a distinguersi dall’altro. Nessun’altra infermità di tipo comune insorse nel periodo in cui infuriava il contagio e in esso confluiva qualunque altro sintomo si manifestasse. I decessi si dovevano in parte alle cure molto precarie, ma anche un’assistenza assidua e precisa si rivelava inefficace. Non si riuscì a determinare, si può dire, neppure una sola linea terapeutica la cui applicazione risultasse universalmente positiva. (Un farmaco salutare in un caso, era nocivo in un altro). Nessuna complessione, di debole o vigorosa tempra, mostrò mai di possedere in sé energie bastanti a contrastare il morbo, che rapiva indifferentemente chiunque, anche quelli circondati dalle precauzioni più scrupolose. Nel complesso di dolorosi particolari che caratterizzavano questo flagello, uno s’imponeva, tristissimo: lo sgomento, da cui ci si lasciava cogliere, quando si faceva strada la certezza di aver contratto il contagio (la disperazione prostrava rapida lo spirito, sicché ci si esponeva molto più inermi all’attacco del morbo, con un cedimento immediato); inoltre la circostanza che, nel desiderio di scambiarsi cure ed aiuti, i rapporti reciproci s’intensificavano, e la gente moriva, come le pecore. Era questa la causa della enorme mortalità. Chi per paura rifiutava ogni contatto, periva solo. Famiglie al completo furono distrutte per mancanza di chi fosse disposto a curarle. Chi invece coltivava amicizie e relazioni, perdeva egualmente la vita: quelli in particolare che tenevano a far mostra di nobiltà di spirito. Mossi da rispetto umano, si recavano in visita dagli amici, disprezzando il pericolo, quando perfino gli intimi trascuravano la pratica del lamento funebre sui propri congiunti, abbattuti e vinti sotto la sferza del la calamità. Una compassione più viva, su un morto o verso un malato, dimostravano quelli che ne erano scampati vivi: conoscevano di persona l’intensità del soffrire e si facevano forti d’un sentimento di sicurezza. Il male non aggrediva mai due volte: o, almeno l’eventuale ricaduta non era letale. Erano giudicati felici dagli altri e nella eccitata commozione di un momento si abbandonavano alla speranza, illusoria e incerta, che anche in futuro nessuna malattia si sarebbe più impossessata di loro, strappandoli a questo mondo.

Il riferimento è al libro II, paragrafo 52, laddove si parla sì dello sgomento e del timore, ma esattamente nel senso opposto a quello voluto da chi diffonde questo virgolettato.

Spesso il virgolettato inventato viene applicato alla lode di pratiche infodemiche e negazioniste.

Chi ripete “La paura della peste distrusse Atene, non la Peste” incita a “a non avere paura del COVID” rigettando tutte le misure di mitigazione e distanziamento sociale come causa di timore immotivato e disgregazione sociale.

Il virgolettato inventato ed il completo ribaltamento del suo senso

Quando Tucidide nell’estratto citato diceva l’esatto opposto: uno dei motivi di contagio della Peste fu proprio l’assenza di strumenti di mitigazione e distanziamento sociale.

Chi decideva coscientemente di “disprezzare il pericolo” visitando amici e partecipando ad occasioni pubbliche, recita Tucidide, veniva contagiato e periva. Allo stesso modo di chi non aveva mezzi per ricevere aiuto.

E i paragrafi 52 e seguenti continuavano, descrivendo un clima di disaffezione che

aveva come spezzato i freni morali degli uomini che, preda di un destino ignoto, non si attenevano più alle leggi divine e alle norme di pietà umana

Di virgolettato inventato in virgolettato reale, possiamo definire il reale testo del Libro II della Guerra del Peloponneso come una feroce e sferzante critica a chi oggi invita e incita alla “ribellione” ed al rispetto delle più elementari cautele.

Siamo sulla falsariga del “Cicerone Fake” contro le “leggi folli”, con l’aggravante che se qualcosa ha richiesto tre paragrafi belli lunghi per esporlo, non puoi pretendere di sintetizzarlo in due righe scarse.

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