Interlingua: gli errori non sono più un problema

di PassaportoFuturo |

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Interlingua: gli errori non sono più un problema Bufale.net

Quante volte vi è capitato nell’apprendimento di una lingua di fare errori? E quante volte vi siete arresi di fronte a un’intera pagina segnata in rosso o un voto basso? Tranquilli, da oggi la vostra immagine sarà riabilitata. La sociolinguistica, in relazione a questo fenomeno, parla di “Interlingua”. Ma vediamo di capire meglio di cosa si tratta.

Quando una persona apprende una lingua diversa dalla sua lingua madre commette ovviamente degli errori, poiché si avvicina a un sistema linguistico diverso da quello di appartenenza. Tuttavia, analizzando questo fenomeno, la sociolinguistica ha deciso di spostare l’attenzione da un concetto negativo (“errore”) a uno più positivo (“interlingua”) che riconosce il contributo dell’apprendente in merito alla costruzione di un sistema di ipotesi sulla lingua che sta imparando.

L’errore, infatti, non è mai intenzionale, ma deriva dallo sforzo del parlante di adattare le regole della propria lingua madre a quelle della lingua che desidera apprendere. Così, nel suo processo di interiorizzazione, commetterà inevitabilmente degli scivoloni che serviranno a renderlo sempre più consapevole mano a mano che prosegue con l’apprendimento.

Ora, quando parliamo di lingua ed errore, la nostra mente ci porta a pensare inevitabilmente all’apprendimento di una lingua straniera. Tuttavia, anche noi italiani dobbiamo imparare l’italiano, ma perché? Se siamo nati e cresciuti in Italia da genitori italiani non dovremmo di conseguenza saper parlare italiano correttamente? Purtroppo non è così semplice come sembra! Questo accade perché ogni italiano parla la sua lingua, in quanto esistono molte varietà d’italiano (italiano popolare, dialetti, gerghi e chi più ne ha più ne metta!), diversa chiaramente da quello che si definisce come “italiano standard”.

Perciò, detto questo, non è assurdo che molte persone nate e cresciute in Italia non conoscano l’italiano standard, ma conoscono qualche sua varietà. Anche Berruto, noto sociolinguista, sostiene che “in Italia nessuno (se non notabili eccezioni del tutto speciali) possiede l’italiano standard come lingua materna”.

Con questa nuova concezione, dunque, si stravolge anche il modo di percepire la didattica e l’apprendimento. Invece di contare gli errori dovremmo analizzarli, percependoli come “indicatori del livello di lingua raggiunto”. Attraverso di essi è possibile capire che genere di ipotesi sta facendo la persona che apprende, svelando così le lacune e il grado con cui la lingua di partenza interferisce con la lingua da apprendere. Mi duole dire, ovviamente, che le interferenze tra le due lingue sono tanto più forti quanto le lingue sono affini (perciò, italiani e spagnoli armatevi di pazienza!). E attenzione! L’interferenza più grande e più comune si ha a livello fonologico e prosodico (elementi fonici come accento, tono, intonazione, ritmo…), in quanto la musicalità che caratterizza la nostra lingua madre non è affatto facile da lasciarsi alle spalle.

Vediamo con un esempio concreto di che cosa stiamo parlando. Immaginiamo che una persona che sta imparando l’italiano pronunci questa espressione “Se loro non bugiàno…”, in sostituzione di “Se loro fanno la spia”. Chiaramente un errore del genere, se un insegnante lo correggesse, sarebbe circondato molte volte in rosso e toglierebbe punti all’apprendente. Tuttavia, pur sembrando un errore madornale, è un indizio positivo sulle ipotesi che si stanno formando nella mente dell’apprendente. Egli prende una parola che conosce “bugia” e si inventa una forma verbale corrispondente “bugiare”, dimostrando di aver compreso, in primo luogo, il meccanismo di derivazione lessicale dell’italiano che permette di formare verbi a partire da nomi. Dimostra, inoltre, di aver capito che il suffisso di terza persona per i verbi è –no (bugi-(à)- no) e che l’accentazione per la terza persona plurale è assimilabile a quella della prima e seconda persona plurale (bugiàmo, bugiàte, bugiàno). Quindi, l’apprendente sa quali sono le regole da rispettare per la formazione verbale del presente, eccezion fatta per l’accentazione che dovrebbe essere “bùgiano”. Ciò che invece dovremmo fargli capire è che questo meccanismo non funziona per tutte le basi lessicali: funziona per “spia” (spiare) o “lavoro” (lavorare), ma non per bugia. Ma questo è un problema dell’italiano, non dell’apprendente, il quale dovrà memorizzare pazientemente tutte le possibilità e impossibilità combinatorie della lingua italiana. (Esempio ripreso da “Interlingua e Analisi degli errori”, Pallotti G.)

Arrivati a questo punto, ci possiamo permettere di considerare l’Interlingua come una lingua vera e propria, con una sua logica e divisa in tappe:

  • in un primo momento, l’apprendente si concentra su parole e frasi isolate; non presta attenzione al genere delle parole (femminile/maschile) o alle coniugazioni verbali e si impara formule fisse per salutare, negare, ringraziare ecc.;
  • poi, inizia l’apprendimento delle regole grammaticali vere e proprie; inizia a memorizzare elementi non essenziali al discorso ma che servono per arricchirlo (articoli, preposizioni ecc.);
  • infine con il passare del tempo aumenta sempre di più la qualità e la quantità delle informazioni interiorizzate.

Questa riabilitazione dell’errore, tuttavia, non deve farvi adagiare sugli allori, perché senza impegno ed esercizio è difficile apprendere una lingua, ma potrebbe essere la vostra ancora di sostegno in quei momenti in cui vi trovate a navigare in un mare di errori. Chiaramente non tutti gli errori hanno lo stesso peso e da parte loro gli insegnanti hanno il dovere di indirizzare l’apprendente, piuttosto che lamentarsi continuamente del fatto che i loro studenti “non sanno la lingua”.

Se voi foste un insegnante come vi comportereste? Vi limitereste a scuotere il capo di fronte agli errori dei vostri studenti o sapreste spronarli partendo dall’analisi dei loro errori?

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