Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar

di Bufale.net Team |

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Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar Bufale.net

Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar: perché agli sponsor ci eravamo abituati. Agli “antisponsor” meno. Dove per antisponsor intendiamo una ditta che non solo non intende partecipare con denaro o altre iniziative promozionali al successo di una iniziativa, ma farà del suo meglio (o peggio a seconda del punto di vista) per ostacolarla.

Parliamo dei Mondiali del Qatar, già apparsi su queste pagine per un depliant di un fantomatico “Comitato Reflect your Respect” erroneamente diffuso sui social come “Il depliant dei mondiali”.

Mondiali del Qatar sotto l’occhio del ciclone per una lunga serie di controversie, dallo stato dei diritti umani agli operai morti durante la costruzione delle infrastrutture, passando per una richiesta di danni milionaria di Amnesty International.

Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar, con orgoglio

Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar, con orgoglio

Tutto questo è stato espressamente citato dall’antisponsor Brewdog.

“BrewDog è orgogliosa di essere l’anti-sponsor del fott**a Coppa del Mondo. Sì, avete letto bene: questa non è la Coppa del Mondo, bensì la fott**a Coppa del Mondo. Il calcio è stato trascinato nel fango, prima ancora che si inizi a giocare. Siamo onesti: il Qatar se lo è aggiudicato (il mondiale) attraverso la corruzione. Su scala industriale”.

Come riporta il profilo Linkedin del fondatore.

Birreria BrewDog antisponsor dei Mondiali del Qatar: “Prima la Russia, poi il Qatar, poi la Corea del Nord?”

Provocatoriamente l’anticampagna pubblicitaria unisce Russia, Qatar e Corea del Nord nella condizione di “stati canaglia” che insozzano il mondo dello sport.

Se su Linkedin il fondatore della compagnia si spinge ad attribuire alla scelta del Qatar interessi economici superiori se non la corruzione, nello spot l’Antisponsor propone di destinare il ricavo delle vendite dell'”antiprodotto pubblicitario” (la loro birra) alla lotta contro l’abuso dei diritti umani.

È corretto in questo caso parlare, come gli esperti citati da Affari Italiani, di “brand activism”: un marchio (per quanto di nicchia e autonominatosi “punk”) scende su un tema delicato come i diritti umani, e nel farlo guadagna visibilità che “reinveste” virtualmente in un ciclo che porta il vespaio del tema a ronzare sempre più forte.

Non sfugge la potente ironia del fatto che se in Qatar il consumo di alcolici è generalmente vietato, BrewDog esporta il suo prodotto nel Medio Oriente, portando così la sua protesta se non all’uscio, direttamente sullo zerbino dei Mondiali per pulircisi allegramente gli stivali.

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