PRECISAZIONI Indro Montanelli e l’acquisto di una moglie 12enne in Abissinia: ‘Era un bel animalino’

di Redazione Bufale |

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PRECISAZIONI Indro Montanelli e l’acquisto di una moglie 12enne in Abissinia: ‘Era un bel animalino’ Bufale.net

Notizie.it racconta una storia su Indro Montanelli tornata attuale anche nel 2019, come potrete notare dal nostro approfondimento richiesto a gran voce ai lettori di Bufale:

Forse non tutti lo sanno, ma vi è un evento, un fatto della vita di Indro Montanelli non conosciuto a tutti e soprattutto poco pubblicizzato, anche dai media. Una notizia piuttosto imbarazzante per la sua vita e per lui in quanto giornalista.

L’acquisto di una moglie

Indro Montanelli comprò una moglie dell’età di 12 anni durante il periodo del colonialismo fascista in Abissinia. Correva l’anno 1936 e sul giornale Civiltà Fascista, il popolare giornalista Indro Montanelli scriveva: “non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà“.

L’intervista a Enzo Biagi

In una intervita rilasciata a un altro grande giornalista, ovvero Enzo Biagi, Montanelli parla di questa moglie 12enne, dicendo: “aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle li’ erano gia’ donne.

L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire. (…) Era un animalino docile, io gli misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari“.

Si era già parlato di questo evento nel lontano 1969, neol programma L’ora della verità in cui Montanelli parlava di cosa ha rappresentato il colonialismo per lui e diceva:

“Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza, Milena, di dodici anni. Scusate, ma in Africa e’ un’altra cosa. Cosi’ l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre. (…) Mi ha accompagnato assieme alle mogli dei miei ascari (…) non e’ che seguivano la banda, ma ogni quindici giorni ci raggiungevano (…) e arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita. (…) non c’e’ stata nessuna violenza, le ragazze in Abissinia si sposano a dodici anni“.

La moglie 12enne, comprata da Montanelli, non appena il giornalista tornò in Italia, fu abbandonata al suo tucul e al suo destino.

Le leggi razziali, in vigore in quel periodo, non permettevano, di elevare al rango di moglie delle donne appartenenti ad altre razze, ecco il motivo per cui la moglie bambina di 12 anni rimase al suo triste destino e non arrivò in Italia.

Il madamato

In quel periodo vigeva il madamato, un vero e proprio contratto sociale che permetteva al colonizzatore di dominare sull’indigeno, all’uomo di dominare sulla donna, all’adulto sul bambino e al libero sul prigioniero, al ricco sul povero, al forte sul debole. Alla fine, grazie al mandamato si poteva avere accanto una persona che era più una schiava che una vera e propria moglie.

Non sappiamo cosa ne pensino oggi i molti supporter di Montanelli di questo suo episodio, ma sicuramente è una delle tante peculiarità dell’aspetto del giornalista.

La vicenda in realtà è abbastanza nota per chiunque conosca la vita del giornalista e fondatore de Il Giornale. Non è chiaro se la ragazza, citata come Fatima o Destà, avesse all’epoca 12 o 14 anni: l’intervista rilasciata nel 1982 a Biagi esiste ed è reperibile su Youtube.

https://www.youtube.com/watch?v=iJBW4gFJ3n0

Sulla pagina online della Fondazione Montanelli Bassi, nel 2015 è stata pubblicata una precisazione su questo argomento, dal titolo Un’accusa ingiusta e strumentale:

Sulla rete alcuni siti rilanciano Indro Montanelli come pedofilo poiché nella guerra in Etiopia – correvano gli anni 1935-1936 – sposò una ragazza di 14 anni. Forse 12.

Niente di più strumentale e scorretto.

Montanelli infatti sposò sì la giovane Destà com’era usanza della popolazione locale, ma, per quanto oggi possa apparirci riprovevole, quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato da Indro.

Si tratta di un episodio della sua vita, non imposto né attuato con violenza, che mai nascose.

In proposito ci limitiamo a riportare qualche riga tratta dalla sua Stanza del Corriere del 12 febbraio 2000:

“… Dopo la fine della guerra e delle operazioni di polizia, uno dei miei tre “bulukbasci” che stava per diventare “sciumbasci” in un altro reparto (si tratta di gradi militari delle truppe indigene), mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizione… Nel ‘52 chiesi e ottenni di poter tornare nell’Etiopia del Negus e la prima tappa, scendendo da Asmara verso il Sud, la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio bulukbasci, che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro. Donde la favola, di cui non sono mai più riuscito a liberarmi, che fosse figlio mio…”

Un ricordo che meglio di ogni altra considerazione spiega l’atteggiamento di Montanelli che, in relazione a questo episodio, non può essere certamente accusato di violenza o di razzismo.

Riportiamo qui ancora qualche stralcio dell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera nel 2000, allegato alle precisazioni:

Completamente frastornato dal nuovo ambiente (arrivavo da Parigi), mi presentai al comandante di Battaglione, Mario Gonella, un piemontese di lunga e brillante esperienza coloniale, che mi diede alcuni ordini, ma anche alcuni consigli sul modo di comportarmi con gl’indigeni e con le indigene. Per queste ultime, mi disse di consultarmi col mio «sciumbasci», il più elevato in grado della truppa, che dopo trent’anni di servizio sotto la nostra bandiera conosceva i gusti di noi ufficiali.
Si trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie (in quei Paesi tropicali la sifilide era, e credo che ancora sia, largamente diffusa) e di stabilirne col padre il prezzo. Dopo tre giorni di contrattazioni a tutto campo tornò con la ragazza e un contratto redatto dal capo-paese in amarico, che non era un contratto di matrimonio ma – come oggi si direbbe – una specie di «leasing», cioè di uso a termine. Prezzo 350 lire (la richiesta era partita da 500), più l’acquisto di un «tucul», cioè una capanna di fango e di paglia del costo di 180 lire.
La ragazza si chiamava Destà e aveva 14 anni: particolare che in tempi recenti mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei Paesi tropicali a quattordici anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile. […]
Per tutta la guerra, come tutte le mogli dei miei Ascari, riuscì ogni quindici o venti giorni a raggiungermi ovunque mi trovassi e dove io stesso ignoravo, in quella terra senza strade né carte topografiche, di trovarmi. Arrivavano portando sulla testa una cesta di biancheria pulita, compivano – chiamamolo così – il loro «servizio», sparivano e ricomparivano dopo altri quindici o venti giorni.
Dopo la fine della guerra e delle operazioni di polizia, uno dei miei tre «bulukbasci» che stava per diventare «sciumbasci» in un altro reparto, mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizione. Rientrai in Italia giusto in tempo per essere travolto prima dalla guerra di Spagna e poi da quella mondiale.
Nel ’52 chiesi e ottenni di poter tornare nell’Etiopia del Negus, e la prima tappa, scendendo da Asmara verso Sud, la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio «bulukbasci», che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro. Donde la favola, di cui non sono mai più riuscito a liberarmi, che fosse figlio mio. Invece era nato ben 20 mesi dopo il mio rimpatrio.

Addirittura la voce di Wikipedia sul madamato riporta il caso Montanelli, sotto ad una foto del giornalista ritratto nel 1936:

Il termine madamato designava, inizialmente in Eritrea e successivamente nelle altre colonie italiane, una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (soldati prevalentemente, ma non solo) ed una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso madama.
Sin dai primi anni di presenza italiana in Africa Orientale il fenomeno da più parti venne giustificato come rispondente alla tradizione locale del dämòz o “nozze per mercede”, una forma di contratto matrimoniale che vincola i coniugi ad una reciprocità di obblighi che includono per l’uomo quello di provvedere alla prole anche dopo la risoluzione del contratto. Molto spesso, però, gli italiani intendevano il madamato come libero accesso a prestazioni domestiche e sessuali, senza curarsi troppo dei doveri che l’unione prevedeva.

Indro Montanelli fu probabilmente l’italiano più famoso ad aver contratto un matrimonio di madamato: qui è ritratto nel 1936, proprio l’anno in cui sposò Fatima

Si tratta quindi di una vicenda vera, di cui però Montanelli non nascose mai i dettagli, persino quelli più crudi.

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