PRECISAZIONI Carcerati, dal primo ottobre 1000 euro al mese, vitto e alloggio. Sul web si scatenano le polemiche degli italiani – bufale.net

di Shadow Ranger |

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PRECISAZIONI Carcerati, dal primo ottobre 1000 euro al mese, vitto e alloggio. Sul web si scatenano le polemiche degli italiani – bufale.net Bufale.net

Ci segnalano i nostri contatti la seguente notizia targata Dailybest

Dal primo ottobre lo stipendio che percepiscono i carcerati è stato aumentato ed adeguato a ciò che prevede la legislazione penitenziaria. Diverse testate giornalistiche avevano già annunciato questo provvedimento, che ha già suscitato l’ira di tanti cittadini italiani, che lo ritengono ingiusto per molte ragioni. Si sapeva già da tempo, ma ora è ufficiale.

Anche in questo caso la notizia è sostanzialmente corretta, ma è la sua percezione, di condivisione in condivisione, ad averla trasfigurata da un evento normale e previsto in un affronto inesistente, da vendicarsi, naturalmente, a colpi di “indinniazione” collettiva, urla virtuali, strepiti e commenti da tregenda che non ripeteremo per non dare visibilità.

Partiamo dalle norme preesistenti. E per preesistenti parliamo del 1986: anno in cui molti degli odierni indinniati probabilmente non erano ancora nati, oppure erano troppo piccoli per ricordare alcunché degli esordi di una controversia durata decenni.

Si parla dunque dell’articolo 22 della legge 354/75 (modificato dalla legge Gozzini, la 663/86), per cui

1. Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tale fine é costituita una commissione composta dal direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell’ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del ministero del tesoro, da un rappresentante del ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.

2. L’ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena funge da segretario della commissione.

3. La medesima commissione stabilisce il trattamento economico dei tirocinanti.

4. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d’obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l’orario di lavoro ordinario.

La questione è semplice: allo scopo di riabilitare un detenuto e perché esso non sia un peso morto all’interno della società al detenuto è consentito lavorare.

E siccome il detenuto resta comunque un essere umano, e siccome la situazione da film americano paventata dagli indinniati nei loro commenti della fila di galeotti legati ad una catena che spaccano pietre mentre lo sceriffo cattivo coi Ray-Ban a specchio e la frusta può sembrare assai cinematografica, e per taluni invitante, ma è palesemente in contrasto con la Costituzione che gli stessi indinniati evocano ogni volta che stanno urlando uno dei loro rissosi insulti prevede che la retribuzione sia proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto, questo a prescindere dalle qualità morali e materiali del soggetto che ha prestato lo stesso (cfr. Art. 36), è altrettanto palese che anche la retribuzione del detenuto lavoratore, perché, ricordiamo, si parla del detenuto che presta una attività lavorativa debba essere proporzionata.

Non pari a quella di un lavoratore del “mondo esterno”: il detenuto, del resto, non ha affitto né pigione, ed il suo tempo di lavoro è talora ostacolato dalle giuste regole del sistema detentivo. Per questo, non si parla di retribuzione o salario, ma di “mercede”, e la “mercede” è pari ai due terzi della retribuzione o del salario di un “libero cittadino”.

Problema: l’ultima volta che questa mercede è stata aggiornata, è stato nel 1993.

Ante-riforma quindi, la mercede del detenuto lavoratore, detenuto che sovente prepara anche prodotti pregevoli ed acquistati, come ad esempio i dolci della Banda Biscotti o Dolci Evasioni e tutti gli altri prodotti elencati dal Ministero della Giustizia, equivaleva quindi a circa due terzi della retribuzione media di un italiano di oltre vent’anni fa, approssimandosi sempre di più al sogno indinniato del carcerato schiavo che spacca pietre per lo sceriffo cattivo.

Era un problema noto nel 2006, nonchè ancora dieci anni dopo, quando si iniziò il cammino che avrebbe portato alla riforma attuale, datosi che dalla dignità del lavoro passa anche la reintegrazione sociale.

Il tutto, ricorda l’Associazione Antigone, al culmine di una lunga storia di contenziosi che hanno attraversato le corti del lavoro Italiane e le corti europee cominciato in tempi in cui ancora si ragionava in lire e non in euro.

Non possiamo quindi liquidare un problema complesso in un “conticino della serva” tra chi prende più soldi, dato che, comunque, il carcerato lavoratore riceve una mercede di due terzi circa del lavoratore “libero” e quindi la mercede va parametrata non già a quella di categorie sociali indicate a caso ma alla retribuzione di un lavoratore libero inquadrato nello stesso modo, svolgente la stessa mansione per lo stesso numero di ore e non possiamo tollerare, in una società civile, l’evocazione dell’immagine dello “sceriffo cattivo che fustiga i criminali”.

L’istituto della pena, come tutti coloro che hanno terminato con profitto almeno l’istruzione media inferiore sanno, ha sia funzione afflittiva che rieducativa, in base all’articolo 27 della Costituzione sopracitata, che molti sembrano riocordare solo quando fornisce loro occasione per “buttare in caciara” discorsi che meriterebbero un approfondimento molto più serio.

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