NOTIZIA VERA Sospettano che il figlio sia gay. Lo torturano e lo uccidono
Ci segnalano un post publicato da Wequal il 19 Ottobre 2017 (archive.is):
Per chi avesse problemi di visualizzazione, riportiamo la foto e il testo della didascalia:
Gabriele Fernandez, 8 anni, è stato torturato per mesi e poi ucciso a colpi di pistola dal padre, davanti gli occhi della madre, perchè pensavano fosse gay. Tra le torture inflitte dai mostri, oltre alle numerose violenze fisiche, il bambino veniva costretto a mangiare le proprie feci ed il proprio vomito.
Poco prima di ucciderlo, il padre gli avrebbe spento numerose sigarette sulla pelle picchiandolo a svenimento con una mazza e, dolorante, lo avrebbe ricoperto di spray al peperoncino. Questa è sicuramente tra le storie più raccapriccianti che io abbia mai letto. R.I.P.
La vicenda è avvenuta nel 2013 a Los Angeles, Stati Uniti. Il 22 maggio la madre del bambino, Pearl Fernandez, chiamò i paramedici perché Gabriel non respirava più. Era già morto. Il corpo del bambino presentava traumi dalla testa ai piedi: evidenti bruciature, ferite da fucile ad aria compressa, mancavano due denti, della pelle sul collo, i genitali erano fortemente lesionati, testa e tre costole erano rotte.
La madre col suo compagno Isauro Aguirre sono indagati (separatamente) per omicidio e tortura. Le testimonianze degli altri figli della donna, Ezequiel e Virginia (rispettivamente dodici e undici anni all’epoca dell’omicidio) dipingono uno scenario raccapricciante, basato su sevizie e silenzio.
Il bambino veniva picchiato regolarmente da entrambi gli adulti: gli facevano mangiare il proprio vomito e la lettiera usata dei gatti, gli venivano spente sigarette addosso e veniva forzato ad indossare vestiti rosa perché ‘gay’.
Da marzo di quest’anno, sono sotto accusa per negligenza anche quattro assistenti sociali che da mesi investigavano sulla famiglia senza però trovare necessario lo spostamento dei minori.
La notizia viene confermata da The Independent, Los Angeles Times e ABC, che riporta anche un servizio sulla testimonianza dell’infermiera Alison Segal:
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