GUIDA UTILE Votare consapevolmente: Il referendum sul DDL di revisione costituzionale – bufale.net

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GUIDA UTILE Votare consapevolmente: Il referendum sul DDL di revisione costituzionale – bufale.net Bufale.net

guida utileUno degli aspetti centrali del dibattito politico di questi giorni e di quelli che verranno, è senza dubbio incentrato sul Referendum popolare al disegno di legge di riforma costituzionale, che si terrà nel mese di Dicembre del 2016, il quattro per essere puntuali. Ecco dunque l’esigenza di pubblicare una guida utile che possa chiarire alcuni aspetti fondamentali, sia sul motivo per il quale è stato indetto questo referendum, sia sui punti fondamentali della riforma stessa e infine una guida che possa elencare le ragioni dei vari comitati del SI e del NO che in questi giorni stanno nascendo. Ovviamente questa guida sarà aggiornata nel momento in cui, a partire dalla data odierna, vi saranno modifiche di rilievo sul tema.

Il 12 aprile 2016, il disegno di legge di riforma costituzionale, chiamato anche DDL Boschi, in quanto presentato e seguito nei passaggi parlamentari dal Ministro senza portafogli per le Riforme Costituzionali, Maria Elena Boschi, viene approvato in via definitiva con la maggioranza assoluta dei componenti della Camera dei Deputati. Il 15 aprile il testo viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il disegno di legge dal titolo: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, ha l’obiettivo ambizioso di apportare modifiche all’assetto istituzionale, legislativo e di governance, mediante la modifica di alcuni articoli della seconda parte della Costituzione.

Per quale motivo viene indetto un referendum popolare sul disegno di legge di riforma costituzionale?

La nostra Costituzione all’articolo 138, prevede che le leggi costituzionali o di revisione costituzionale, sono soggette a referendum popolare, se sono state approvate dal Parlamento con una maggioranza inferiore ai due terzi. Ecco di seguito il testo integrale dell’articolo 138 della Costituzione:

Titolo VIII

GARANZIE COSTITUZIONALI

Sezione II
Revisione della Costituzione.
Leggi costituzionali.

(Artt. 138-139)

Art. 138

(Revisione della Costituzione)

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Assemblee regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

La nostra Costituzione difatti, prevede dei limiti alla riforma costituzionale. Oltre a stabilire che i principi supremi non sono modificabili, stabilisce gli strumenti da utilizzare per revisionare quella parte della Costituzione che non rientra tra i diritti fondamentali. Tale procedura è comunque rinforzata rispetto a quella dell’approvazione di una legge ordinaria.

https://it.wikipedia.org/wiki/Limiti_alla_revisione_costituzionale

Leggiamo infatti che:

L’articolo 138 prevede che il Parlamento si esprima su una legge costituzionale con quattro votazioni (due per il Senato e due per la Camera in maniera incrociata). Per la prima votazione non è richiesta alcuna maggioranza qualificata e, perciò, la legge costituzionale o di revisione costituzionale può essere approvata anche a maggioranza semplice. Nella seconda votazione è richiesta la maggioranza assoluta per dar corso ad un procedimento referendario di tipo confermativo, oppure la maggioranza dei 2/3 dei componenti che confermerebbe senza bisogno di referendum la reale necessità di approvazione della legge o della revisione.

Nel caso del DDL Boschi il Parlamento ha approvato il testo con maggioranza assoluta ma non con una maggioranza superiore ai due terzi dei suoi componenti. Il 20 aprile quindi, è stata depositata la richiesta per il referendum popolare che si terrà ad Ottobre. In questo tipo di referendum non è previsto un quorum (numero minimo di votanti affinché il referendum sia valido). La legge viene promulgata, se i voti favorevoli superano quelli sfavorevoli.

Il provvedimento di riforma approvato, in intesi dispone, il superamento dell’attuale sistema di bicameralismo paritario, riformando il Senato che diviene organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Sono oggetto di revisione anche la disciplina del procedimento legislativo e le previsioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione sulle competenze dello Stato e delle Regioni e viene disposta la soppressione del CNEL.

Verrà dunque chiesto all’elettorato di confermare con un SI o respingere con un NO l’intero corpo normativo che compone il DDL di riforma costituzionale. Nel frattempo molte cose sono successe: è stata avanzata (e rigettata) l’ipotesi dello “spacchettamento” ovvero, seguendo il “principio del discernimento“, presentare un referendum per “parti separate” e un ricorso al TAR Lazio per eccesso di potere, parimenti rigettato e quindi la via del Referendum ha marciato dritta dribblando ogni possibile ostacolo, con l’unico piccolo prezzo di uno spostamento della data prevista dall’ottobre previsto prima delle vacanze estive al 4 Dicembre.

Affronteremo quindi meglio l’argomento della scelta referendaria sul singolo quesito più avanti quando saranno elencate le ragioni del SI e le ragioni del NO.

Di seguito il link dove è possibile leggere o scaricare il testo integrale del DDL:

http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0038060.pdf

Oppure scaricabile da qui (Fonte: Servizio Studi della Camera dei Deputati):TESTO DDL BOSCHI APPROVATO DALLA CAMERA

  • Facciamo un’analisi per punti.
  • Cosa prevede la riforma costituzionale?:

IL NUOVO BICAMERALISMO DIFFERENZIATO. Il Parlamento continua ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni differenti. Solo alla Camera, che rappresenta la Nazione e resta composta da 630 deputati, spetta la titolarità del rapporto di fiducia e la funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del governo. Il Senato rappresenta invece le istituzioni territoriali.

Dall’Articolo 1 del DDL, che sostituisce l’Articolo 55 della Costituzione, leggiamo che:

Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione.

La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
IL NUOVO SENATO:  Il nuovo Senato avrà funzioni di raccordo tra lo Stato centrale, gli enti territoriali locali e l’Unione Europea. E’ attribuita quindi al Senato, la funzione di rappresentanza degli enti territoriali. Concorre all’esercizio della funzione legislativa. Valuta le politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni; la verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori; il concorso all’espressione dei pareri sulle nomine di  competenza del Governo nei casi previsti dalla legge; il concorso alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato.
Dallo stralcio dell’Articolo 1 del DDL infatti leggiamo:
Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea.

Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle
politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle

leggi dello Stato.
I nuovi senatori saranno 100, composti da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori  nominati dal Presidente della Repubblica. I membri del nuovo Senato saranno scelti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi“, secondo le modalità che verranno stabilite con una legge che verrà varata entro 6 mesi dall’entrata in vigore della riforma costituzionale. I 95 senatori sono eletti in secondo grado dai consigli regionali tra i propri membri e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. Il Senato diviene organo a rinnovo parziale, non sottoposto a scioglimento, poiché la durata dei senatori eletti coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti. Viene dunque sostituita l’elezione a suffragio universale e diretta per il Senato con un’elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali. I cinque senatori di nomina presidenziale non saranno più in carica a vita ma saranno legati al mandato del Presidente della Repubblica, e non possono essere rinominati. Restano invece senatori a vita gli ex presidenti della Repubblica.
All’ Articolo 2 del DDL, che sostituisce il 57 della Costituzione, infatti leggiamo:
Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componentie, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori.

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto
comma.
Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la
loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio ».

Ai senatori resta l’immunità parlamentare come ai deputati. I nuovi senatori non riceveranno indennità se non quella che spetta loro in quanto sindaci o membri del consiglio regionale. L’indennità di un consigliere regionale non potrà superare quella attribuita ai sindaci dei comuni capoluogo di Regione. Resta l’indennità per i senatori a vita. Garantito anche ai senatori l’esercizio della funzione senza vincolo di mandato.

Si legge difatti all’Articolo 9 del DDL, in riferimento all’indennità parlamentare:

All’articolo 69 della Costituzione, le
parole: « del Parlamento » sono sostituite
dalle seguenti: « della Camera dei deputati ».

Viene introdotto in Costituzione il dovere di partecipazione ai lavori parlamentari:

L’Articolo 6 del DDL che modifica il 64 della Costituzione cita:

I membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni.

IL NUOVO ITER LEGISLATIVO: Cambia la partecipazione delle due camere all’iter legislativo che finora era paritaria. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere nel caso di  leggi costituzionali, per le minoranze linguistiche, il referendum popolare, per le leggi elettorali, per i trattati con l’Unione europea e le norme che riguardano i territori. Le altre leggi sono approvate dalla Camera. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera, viene inviato  al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato può deliberare a maggioranza assoluta proposte di modifica del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva e che potrà bocciare solamente con un voto a maggioranza assoluta dei propri componenti.

Facciamo in questo caso riferimento all’Articolo 10 del DDL che sostituisce il 70 della Costituzione:

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le

leggi di cui agli articoli 57, sesto comma 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.

L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.

I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di
modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.
I Presidenti delle Camere decidono d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.

Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati».

Il Senato può richiedere alla Camera, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di procedere all’esame di un progetto di legge. Inoltre, i senatori mantengono inalterato il loro potere di iniziativa legislativa che, ad eccezione dei disegni di legge ad approvazione bicamerale, per tutti gli altri l’esame inizia alla Camera.

Su quest’ultimo aspetto, si fa riferimento all’Articolo 11 del DDL che apporta modifiche al 71 della Costituzione:

«Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all’esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica»

In merito alle proposte di legge di iniziativa popolare, la raccolta di firme richieste per la presentazione, passerà da 50mila a 150mila. La delibera della sola Camera avverrà con tempi, termini e passaggi previsti e definiti da regolamenti parlamentari.

Si legge infatti dallo stralcio all’Articolo 11:

al secondo comma, la parola: « cinquantamila » è sostituita dalla seguente: « centocinquantamila » ed è aggiunto, infine, il seguente periodo: « La discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari »

I REFERENDUM PROPOSITIVI: Vengono introdotti in Costituzione i referendum popolari propositivi e di indirizzo ma spetterà alle Camere varare una legge che ne stabilisca le modalità di attuazione.

Infatti sempre l’Articolo 11 del DDL cita:

« Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo,
nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere.
Sempre sul tema referendario, rimarrà inalterata la soglia delle 500mila firme al fine di poter presentare un quesito referendario ma, se i comitati promotori riescono a raggiungere la soglia delle 800mila firme, il quorum si abbassa e non verrà più calcolato in base al totale degli elettori aventi diritto, ma in base al totale degli elettori dell’ultima tornata elettorale.
Di seguito il riferimento all’Articolo 15 del DDL che va a sostituire l’Articolo 75 della Costituzione:
È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti gli elettori.

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum».
I DECRETI LEGGE E I DDL PROPOSTI DAL GOVERNO: I Regolamenti parlamentari dovranno indicare temi certi ai ddl presentati dal Governo e vengono introdotti in Costituzione limiti al governo sui contenuti dei decreti legge. Al fine di rafforzare l’incidenza del Governo nel procedimento legislativo, la riforma riconosce all’esecutivo il potere di chiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera e sottoposta alla pronuncia in via definitiva entro settanta giorni dalla deliberazione, ulteriormente prorogabili per non oltre quindici giorni (istituto del voto a data certa).

Sulla decretazione d’urgenza ed il relativo procedimento di conversione, la riforma introduce in Costituzione alcuni limiti, previsti dalla normativa ordinaria, disponendo che il decreto-legge non può:

1. provvedere nelle materie indicate nell’articolo 72, quinto comma, della Costituzione, ossia in materia costituzionale, di delegazione, di ratifica di trattati internazionale e di approvazione del bilancio. Non possono essere adottati decreti legge in materia elettorale, ad eccezione della disciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni;

2. reiterare disposizioni di decreti legge non convertiti o regolare i rapporti giuridici sorti sulla loro base;

3. ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.

I decreti legge devono contenere misure di immediata applicazione, devono avere un contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

Facciamo riferimento in questo caso all’Articolo 16 del DDL che cita:

« Il Governo non può, mediante provvedimenti provvisori con forza di legge: disciplinare le materie indicate nell’articolo 72, quinto comma, con esclusione, per la materia elettorale, della disciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni; reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte
costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.
I decreti recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

L’esame, a norma dell’articolo 70, terzo e quarto comma, dei disegni di legge di conversione dei decreti è disposto dal Senato della Repubblica entro trenta giorni dalla loro presentazione alla Camera dei deputati. Le proposte di modficazione possono essere deliberate entro dieci giorni dalla data di trasmissione del disegno di legge di conversione che deve avvenire non oltre quaranta giorni dalla presentazione.
poi, sempre in merito alla trattazione di materie estranee all’oggetto del decreto:
Nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto ».

SCHEDE RIEPILOGATIVE SUL NUOVO PROCEDIMENTO LEGISLATIVO:

(Fonte: Servizio Studi della Camera dei Deputati)

Procedimento Bicamerale:

procedimento bicamerale 1

procedimento bicamerale 2

Procedimento Monocamerale:

procedim monocam 1

procedim, monocam 2

Procedimento di conversione dei Decreti Legge:

convers. decr. 1

convers. decr. 2

IL GIUDIZIO PREVENTIVO SULLE LEGGI ELETTORALI: Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale, su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata.

Si fa riferimento in questo caso all’Articolo 13 del DDL che modifica gli Articoli 73 e 134 della Costituzione, che cita:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.
Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale, su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata».
e ancora:
«La Corte costituzionale giudica altresì della legittimità costituzionale delle leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ai sensi dell’articolo 73, secondo comma ».

ABOLIZIONE DEL CNEL E DELLE PROVINCE: Viene abrogato l’articolo 99 della Costituzione che prevede, quale organo di rilevanza costituzionale, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Viene prevista la nomina di un commissario straordinario entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, a cui affidare la gestione per la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti. Dal testo della Costituzione viene eliminato anche il riferimento alle Province che vengono meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati, in base alla Costituzione, di funzioni amministrative proprie.

Facciamo riferimento all’articolo 28 del DDL che riferendosi all’abolizione del CNEL, cita semplicemente:

1. L’articolo 99 della Costituzione è abrogato.
E l’Articolo 40 del DDL (Disposizioni finali), il quale stabilisce:
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) è soppresso. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, nomina, con proprio decreto, un commissario straordinario cui è affidata la gestione provvisoria del CNEL, per le attività relative al patrimonio, compreso quello immobiliare, nonché per la riallocazione delle risorse umane e strumentali presso la Corte dei conti e per gli altri adempi- menti conseguenti alla soppressione. All’atto dell’insediamento del commissario straordinario decadono dall’incarico gli organi del CNEL e i suoi componenti per ogni funzione di istituto, compresa quella di rappresentanza.

In riferimento all’abolizione delle Province si fa riferimento all’Articolo 29 del DDL, il quale cita:

(Abolizione delle Province)
1. All’articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: « dalle Province, » sono soppresse;
b) al secondo comma, le parole: « le Province, » sono soppresse.
RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE: Il Titolo V è quella parte della Costituzione che  si occupa delle regioni, delle province, dei comuni e delle leggi costituzionali. Dopo la modifica mediante la riforma costituzionale del 2001 all’articolo 117 della Costituzione, si rimette mano, con la nuova riforma, al rapporto Stato – Regioni. In particolare, viene soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. Viene introdotta una ‘clausola di supremazia‘, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie per la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale. La Camera dunque potrà approvare leggi anche di competenza delle regioni.
Le modifiche al Titolo V della Costituzione, vengono apportate dall’Articolo 29 all’Articolo 36 del DDL.
L’Articolo 31 del DDL sostituisce completamente l’articolo 117 della Costituzione e stabilisce la legislazione esclusiva dello stato sulle regione in alcune materie, e leggiamo che:
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; tutela e promozione della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; perequazione delle risorse finanziarie;

f)organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del
Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;
n) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;
o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale;

p) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; commercio con l’estero

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed eco- sistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;
t) ordinamento delle professioni e della comunicazione;
u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;
v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.
E poi:
Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.
Nell’Articolo 32 del DDL che modifica il 118, si fa cenno alla responsabilità degli amministratori:
« Le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori »

Viene anche modificato l’art. 116 della Costituzione, che disciplina il regionalismo differenziato. In particolare, è ridefinito l’ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle regioni ordinarie facendo riferimento ai seguenti ambiti di competenza legislativa statale. E’ introdotta una nuova condizione per l’attribuzione, ovvero che la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, l’attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge “approvata da entrambe le Camere”, senza però  richiedere più la maggioranza assoluta dei componenti, ferma restando la necessità dell’intesa tra lo Stato e la regione interessata.

Ecco l’Articolo 30 del DDL che modifica il 116 della Costituzione al quale facciamo riferimento:

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere
l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace,
m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali,
n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale,
q), limitatamente al commercio con l’estero,
s) e u), limitatamente al governo del territorio,
possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata ».
SCHEDE RIASSUNTIVE SULLE NUOVE COMPETENZE STATO-REGIONI (ART.117)
(Fonte: Servizio Studi della Camera dei Deputati)
ART.117 a
ART.117 b
ART. 117 c

I GIUDICI DELLA CORTE COSTITUZIONALE. I cinque giudici della Consulta di nomina parlamentare verranno eletti separatamente dalle due Camere. Al Senato ne spetteranno due, ai deputati tre. Per l’elezione è richiesta la maggioranza dei due terzi dei componenti per i primi due scrutini, dagli scrutini successivi è sufficiente la maggioranza dei tre quinti.

L’Articolo alla quale fa riferimento questo aspetto è il 37 del DDL che apporta modifiche all’Articolo 137 della Costituzione:

La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica»
LA TUTELA DEI DIRITTI DELLE “MINORANZE PARLAMENTARI” E L’INTRODUZIONE DELLO STATUTO DELLE OPPOSIZIONI: Viene espressamente prevista, nella Carta costituzionale, la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari, da attuare secondo i regolamenti delle Camere. Al regolamento della Camera è affidata inoltre la disciplina dello statuto delle opposizioni.
A quanto sopra detto, si fa  riferimento all’Articolo 6 del DDL che modifica l’Articolo 64 della Costituzione:
« I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari.
ll regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni »
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: Rimane l’elezione in seduta comune del Parlamento, ma cambia il quorum per l’elezione del Capo dello Stato. Nelle prime tre votazioni resta due terzi dei componenti l’assemblea. Dalla quarta si abbassa a tre quinti dei componenti dell’assemblea e dalla settima ai tre quinti dei votanti. Sarà il presidente della Camera (e non più del Senato) a sostituire il presidente della Repubblica ‘ad interim’.
Si fa riferimento all’Articolo 21 del DDL che modifica l’Articolo 83 della Costituzione:
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
e all’Articolo 22 de DDL che modifica l’Articolo 85 della Costituzione:
Quando il Presidente della Camera esercita le funzioni del Presidente della Repubblica nel caso
in cui questi non possa adempierle, il Presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune.
e poi ancora:
Se la Camera dei deputati è sciolta, o manca meno di tre mesi alla sua cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della Camera nuova. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.
Notiamo quindi che è stata soppressa la convocazione dei delegati regionali in funzione della nuova conformazione del Senato come rappresentanza delle autonomie locali e la camera che può essere sciolta, è la sola Camera dei deputati.
Abbiamo analizzato finora gli aspetti fondamentali del Disegno di Legge di Riforma Costituzionale. Il materiale per l’analisi dei punti e il testo integrale del DDL, è facilmente reperibile sul sito della Camera dei Deputati. Per chi vuole approfondire maggiormente il tema e avere maggiori informazioni, è possibile scaricare e visionare le schede di lettura da dove sono state ricavate le maggiori informazioni sui punti essenziali e sugli articoli cui fanno riferimento: RIFORMA COSTITUZIONALE Il testo è stato redatto dal Servizio Studi della Camera dei Deputati e in particolare dal:
SERVIZIO STUDI
Dipartimento Istituzioni
066760-9475/066760-3855
st_istituzioni@camera.it
A cura di:
Cristina de Cesare
Chiara Martuscelli
Veniamo ora ad analizzare gli aspetti salienti delle ragioni del NO e delle ragioni del SI:
LE RAGIONI DEL NO:
Le ragioni fondamentali presentate in questi giorni dai comitati per il NO, possono essere riassunte da un documento sottoscritto da una cinquantina di studiosi di diritto tra i quali gli ex presidenti della Corte Costituzionale Valerio Onida, Antonio Baldassarre, Gustavo Zagrebelsky, Giovanni Maria Flick, Ugo De Siervo, Franco Gallo, Francesco Amirante, Franco Bile, Francesco Casavola, Riccardo Chieppa, Alfonso Quaranta. Tra le firme anche quelle di Enzo Cheli, Luigi Mazzella, Andrea Manzella, Lorenza Carlassarre, Fulco Lanchester, Guido Neppi Modona. I quali esprimono alcune valutazioni critiche.
Leggiamo dal documento:

Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo.
Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.

1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo.
La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. E’ indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.

2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti – con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria – anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.

3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.

4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.

5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, elle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.

6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.

7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto. Inoltre, se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede – su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la riforma in più progetti, approvati dal Parlamento separatamente).

Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma.

Aprile 2016

Tra i punti salienti di questa dichiarazione, possiamo evidenziare:

– Un referendum presentato sulla permanenza del governo: Ciò che preoccupa innanzi tutto è il fatto che il testo non sia il frutto “di un consenso maturato fra le forze politiche” e che “ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un governo”.

– Un Senato indebolito: Nel merito, si definisce “largamente condiviso e condivisibile” il superamento del bicameralismo paritario, ma “si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo”.

– Un forte effetto maggioritario: La mancanza di un riequilibrio dal punto di vista numerico delle componenti del Parlamento in seduta comune, “che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario”.

– Rischio di incertezza: “Rischi di incertezze e conflitti”, scrivono ancora gli autori del documento, insiti nella “pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato”.

– Sul federalismo: “La necessità di superare i conflitti tra Stato e Regioni generati dalla riforma del 2001 porta ad un rovesciamento dell’impostazione seguita quindici anni fa, tanto che “l’assetto regionale della Repubblica uscirebbe fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale”.

– Aspetti positivi: “la restrizione del potere del governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera” sui progetti dell’esecutivo; “la previsione della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali; la promessa di una nuova legge costituzionale che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare”.

– Perplessità manifestate su un referendum basato su un unico quesito, “di approvazione o no dell’intera riforma”, perché “l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni ‘politiche’ estranee al merito della legge”. Su questo punto all’inizio ci eravamo soffermati sull’affacciarsi di posizioni politiche intente a promuovere lo “spacchettamento referendario”.

Molte delle ragioni del NO possono essere lette sul sito di uno dei comitati per il NO: http://www.iovotono.it/

LE RAGIONI DEL SI:

I punti cruciali della campagna delle ragioni del SI, certamente ruotano attorno ad aspetti definiti essenziali della riforma quali potrebbero essere: la riduzione dei parlamentari da 315 a 100. l’introduzione del referendum propositivo, il superamento del bicameralismo perfetto (le 2 camere fanno la stessa cosa), l’abolizione del CNEL e delle Province, un processo legislativo più breve ottenuta grazie alla riduzione delle competenze del Senato. Con la fine del bicameralismo perfetto si eviterà la cosiddetta “navetta”, cioè il “viaggio” che i testi di legge compiono più volte tra Camera e Senato per essere approvati. Se una camera apporta una modifica a una legge, infatti, oggi è necessario che il testo venga approvato nuovamente dall’altra camera, allungando così i tempi necessari ad approvare la nuova legge. In tutta Europa, l’Italia è sostanzialmente l’unico paese ad avere adottato questa forma di bicameralismo.

Tra le ragioni del si, c’è chi vi aggiunge la questione dell’attesa decennale del superamento del bicameralismo paritario. Difatti, quasi tutte le forze politiche in passato si sono largamente lamentate di questa forma parlamentare proponendo, tra i loro programmi politici, proposte di riforma costituzionale più o meno simili a quella che verrà sottoposta al referendum di ottobre. Si ricordano le innumerevoli commissioni bicamerali che a partire dagli anni ’80 tentavano di riformare il sistema bicamerale differenziando i poteri di entrambe le camere. Fino ai programmi di riforma che possiamo trovare contenuti in quelli di Partiti tradizionalmente “antisistema” come in quello del PCI agli inizi degli anni ottanta.

Quest’ultimo punto, è stato approfondito da un articolo di “Panorama” uscito il 13 Aprile 2016, che affrontava il tema delle riforme costituzionali, intitolato: “Quando Berlinguer voleva abolire il Senato” e sottotitolato “L’ex segretario del PCI auspicava come Renzi una radicale riforma monocameralista. Ma allora nessuno gridò al golpe nè disseppellì il fantasma di Gelli”.

http://www.panorama.it/news/politica/quando-berlinguer-voleva-abolire-il-senato/

All’interno dell’articolo, si fa riferimento ad un “analogo progetto di riforma Costituzionale” presentato dal PCI agli inizi degli anni ottanta e descritto nelle colonne dell’Unità del 10 Dicembre 1981 a pag. 1 e pag. 7:

http://archivio.unita.it/esploso.php?dd=10&mm=12&yy=1981&ed=Nazionale&url=/archivio/uni_1981_12/19811210_0001.pdf&query=Materiali%20e%20proposte%20per%20un%20programma%20di%20politica%20economico-sociale%20e%20di%20governo%20della%20economia&avanzata=

All’interno dell’articolo di Panorama si legge di quando:

Il Pci – appena uscito dal fallimentare tentativo di compromesso storico con la Dc – redasse un documento  cui L’Unità in prima pagina e a pagina 7 diede grande risalto. Si chiamava pomposamente «Materiali e proposte per un programma di politica economico-sociale e di governo della economia» e fu redatto dal Partito di Berlinguer in collaborazione con un grande numero di economisti e costituzionalisti di area. Puntava al cuore delle riforme istituzionali di cui allora, in Italia, si cominciava a parlare.

Dopo aver spiegato i motivi per il quale viene indetto un referendum, dopo aver elencato i punti fondamentali (affiancandone i riferimenti normativi) del disegno di legge di revisione costituzionale, alla quale viene chiesto di pronunciarsi, dopo aver elencato le ragioni del SI e del NO, possiamo concludere questa “guida”, con la speranza di aver dato al lettore degli strumenti utili, nella maniera più neutrale possibile, al fine di potersi orientare in modo più sicuro all’interno di un  dibattito politico, che ruota attorno a questo tema, sempre più intriso di propaganda piuttosto che di informazione utile.

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