BUFALA DISINFORMAZIONE “Due citazioni di Lincoln e Lee che non vedrete a scuola” – bufale.net

di Shadow Ranger |

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BUFALA DISINFORMAZIONE “Due citazioni di Lincoln e Lee che non vedrete a scuola” – bufale.net Bufale.net

Quest’oggi approfittiamo del sonnolento weekend per affrontare l’importante tema del Revisionismo e di come ogni nazione, nessuna esclusa, abbia i suoi problemi di “storici fai da te”.

E non parliamo solo del “grande” Revisionismo, quello di chi è pronto a cancellare intere pagine della storia perché non confacenti al suo sentire, spesso con risibili ragioni, ma anche del piccolo Revisionismo. Ad esempio, l’ormai celeberrima frase di Pertini che minaccia i politici “con mazze e bastoni” che tutti giurano di aver sentito in improbabili occasioni (evocando ad esempio l’immagine di un Pertini cavernicolo, moderno Fred Flintston, che promette colpi di clava in un improbabile “Discorso in favore della pace”).

All’indomani della tragedia di Charlottesville, tocca agli alt-right cercare di ripulire l’immagine del Generale Lee e insudiciare quella di Abramo Licoln a colpi di cose che i libri di storia non vi dicono!!!!

Probabilmente perché le dicevano quando voi eravate attaccati agli smartphone a condividere robe a caso per indinniarvi.

Vi spoileriamo che una delle affermazioni che avete visto nell’immagine di copertina e che riporteremo è tutt’altro che ignota e non insegnata nei libri di storia, ma ben nota, anche nel contesto che il viralizzatore ha censurato, e l’altra è una vera e propria bufala d’epoca, una fake news quando le fake news non esistevano, ai tempi dei pistoleri del Selvaggio West, di Sam il Ragazzo del West, Django e tutti gli immortali personaggi di Clint Eastwood.

Partiamo da Lincolin:

If I could save the Union without freeing any slave, I would do it

Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo, lo farei

L’estratto, lungi dall’essere occulto, è parte di una intera lettera di risposta alla “Preghiera dei Venti Milioni” di Horace Greeley, giornalista e importuno sostenitore che, all’alba della stesura del Proclama di Emancipazione (redigendo proprio in quei giorni: nel momento in cui Lincoln fu chiamato in causa, aveva già una bozza del primo ordine esecutivo relativo pronta) decise di chiamare in causa il Presidente dedicandogli una “lettera aperta” in cui auspicava il conflitto totale, considerando i Sudisti dei “traditori codardi” a prescindere e applicando l’intento di liberazione degli schiavi con la massima durezza.

La risposta di Lincoln, in integrale, fu sostanzialmente un piccato rigetto contro le idee di un “importuno” che a suo dire aveva mescolato due problemi distinti e separati in uno stesso calderone. Tradurremo la parte centrale della lettera per evidenziarlo

I have just read yours of the 19th, addressed to myself through the New York Tribune. If there be in it any statements, or assumptions of fact, which I may know to be erroneous, I do not, now and here, controvert them. If there be in it any inferences which I may believe to be falsely drawn, I do not, now and here, argue against them. If there be perceptible in it an impatient and dictatorial tone, I waive it in deference to an old friend, whose heart I have always supposed to be right. As to the policy I ’seem to be pursuing,’ as you say, I have not meant to leave any one in doubt. I would save the Union. I would save it the shortest way under the Constitution. The sooner the national authority can be restored, the nearer the Union will be ’the Union as it was.’ If there be those who would not save the Union unless they could at the same time save slavery, I do not agree with them. If there be those who would not save the Union unless they could at the same time destroy slavery, I do not agree with them. My paramount object in this struggle is to save the Union, and is not either to save or to destroy slavery.If I could save the Union without freeing any slave, I would do it; if I could save it by freeing all the slaves, I would do it; and if I could save it by freeing some and leaving others alone, I would also do that. What I do about slavery and the colored race, I do because I believe it helps to save the Union: and what I forbear, I forbear because I do not believe it would help to save the Union. I shall do less whenever I shall believe what I am doing hurts the cause, and I shall do more whenever I shall believe doing more will help the cause. I shall try to correct errors when shown to be errors, and I shall adopt new views so fast as they shall appear to be true views. I have here stated my purpose according to my view of official duty; and I intend no modification of my oft expressed personal wish that all men everywhere could be free.

Ho appena letto la Vostra missiva del 19, inviatami mediante le pagine del New York Tribune. Anche se vi fossero in alcune frasi o dichiarazioni di fatto che io possa ritenere essere erronee, in questa sede, qui ed ora, non intendo ribattere. Se vi siano al suo interno delle interferenze nel mio operato falsamente operate, non ho intenzione, qui ed ora, contestarle. Anche se vi fosse un tono impaziente e dittatoriale, per rispetto ad un vecchio amico il cui cuore ho sempre creduto essere nel posto giusto, farò finta di ignorarle. Per quanto riguarda la politica “che io sembro seguire”, come dici, non ho alcuna intenzione di lasciare qualcuno in dubbio. Io salverò l’Unione. La salverei nel modo più rapido ed efficiente consentito dalla Costituzione. Prima si riuscirà a ricomporre l’autorità nazionale, prima riavremo l’Unione “così come era”. Se ci sono persone che non hanno intenzione di salvare l’Unione se non possono salvare la schiavitù allo stesso tempo, io non concordo con loro. Se ci sono persone che non hanno intenzione di salvare l’Unione se non possono distruggere la schiavitù allo stesso tempo, io non concordo con loro. Il mio obiettivo primario in questa battaglia è salvare l’Unione, non preservare o abolire la schiavitù. Se potessi salvare l’Unione senza liberare gli schiavi, io lo farei, se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, io lo farei; e se potessi salvarla liberando solo alcuni schiavi, lo farei lo stesso. Quello che faccio nei riguardi della schiavitù e la gente di colore, lo faccio perché ritengo salverà l’Unione: e quello che invece non faccio, lo faccio perché non credo salverà l’Unione. Io agirò con meno vigore quando riterrò che ciò danneggi la causa, e agirò con maggior vigore quando crederò che facendo di più aiuterà la causa. Io proverò ad emendarmi quando mi saranno mostrati degli errori, e cambierò il mio modo di vedere se mi saranno presentati migliori punti di vista. Ho già più volte espresso i miei propositi, relativamente al mio dovere e non intendo modificare la mia idea secondo cui tutti gli uomini possano essere, in ogni luogo, liberi.

Sostanzialmente, e di questo la storia ufficiale non fece mai mistero, Abramo Lincoln vedeva il problema della schiavitù negli Stati del Sud e il problema della rottura dell’unità nazionale come due problemi distinti e separati, che avrebbe affrontato parallelamente ma che avrebbe potuto affrontare “meglio” riunendo gli Stati Uniti d’America nella loro originaria unità, sicché il Proclama di Emancipazione avesse valore cogente in tutto il suolo nazionale riunificato.

La lettera nel suo complesso è evidentemente, nei modi e nei toni di un uomo autorevole ed un avvocato di fama noto per la sua oratoria acuta e rispettosa, ancorché infuocata, un modo elegante per dire ad un “fan scomodo” l’equivalente di “Ed ora smettila di dirmi cosa devo fare, sparisci e smetti di importunarmi perché la prossima lettera aperta che mi mandi te la faccio mangiare. Io sono il Presidente degli Stati Uniti e tu sei un giornalista che non stare al tuo posto: ti va di lusso che siamo amici”

Abramo Lincoln non aveva mai avuto intenzione di “sacrificare” la liberazione degli schiavi all’altare dell’Unità Nazionale come insinuato da Greeley, semplicemente, da consumato uomo politico, di trattare due problemi distinti come due problemi distinti, al massimo ritenendo che risolto il problema dell’unità nazionale avrebbe avuto un modo in più per raggiungere l’obiettivo di promulgare il Proclama di Emancipazione.

Il tutto, possibilmente, senza avere un Greeley a soffiare sul fuoco delle “aquile” rischiando di prolungare la guerra di anni.

Per quanto attiene la presunta affermazione invece di Robert E. Lee, qui siamo nel campo delle aperte fake news

La prima traccia storica di questa affermazione appare infatti come una citazione di seconda mano pubblicata nel 1885 sul Century Illustrated Monthly Magazine.

In pratica la citazione apparsa è un estratto semplificato di una frase che un tale John Leyburn, pastore presbiteriano di idee Sudiste, dichiarò di aver raccolto nel 1869 da un Generale Lee ormai infiacchito e stanco (sarebbe morto solo un anno dopo, all’età di 63 anni per polmonite preceduta da un ictus che lo lasciò fortemente infermo). Tale confessione “postuma”, un probabile apocrifo, appariva con toni volutamente apologetici e ricchi di patetismo lirico

“So far,” said General Lee, “from engaging in a war to perpetuate slavery, I am rejoiced that slavery is abolished. I believe it will be greatly for the interests of the South. So fully am I satisified of this, as regards Virginia especially, that I would cheerfully have lost all I have lost by the war, and suffered all I have suffered, to have this objective obtained.” This he said with much earnestness.

After expressing himself on this point, as well as others in which he felt that Northern writers were greatly misrepresenting the South, he looked at me and, with emphasis, said:

“Doctor, I think some of you gentlemen that use the pen should see that justice is done us.”

“Lungi”, disse il Generale Lee “dall’impegnarmi in una guerra per per perpetuare la schiavitù, sono contento che sia stata abolita. Credo che questo sarà eccellente per gli interessi del Sud. Sono così soddisfatto di questo, che riguarda specialmente la Virginia, che avrei accettato con gioia di perdere tutto in guerra, e soffrire tutto quello che ho sofferto, per raggiungere questo obiettivo”. Così mi disse con grande onestà.

Dopo essersi espresso su questa vicenda, e su tutte le altre in cui riteneva che gli scrittori del Nord stessero rappresentando in modo errato il Sud, mi guardò e disse con enfasi:

“Dottore, qualcuno di voi gentiluomini dovrebbe impugnare la penna per renderci giustizia”

Siamo di fronte alla solita confessione postuma che un uomo in punto di morte mi ha rivelato curiosamente senza alcun testimone presente, e che pubblico diversi anni dopo la sua morte, credetemi, è tutto vero, lo giuro.

In realtà il Generale Lee, come tutti gli uomini del suo tempo, non era razzista nel senso odierno del termine (ovvero riteneva la schiavitù giusta e la supremazia della “razza bianca” un inevitabile dato natura), ma la sua personalità era compenetrata dal concetto che lo scrittore britannico Rudyard Kipling descrisse come il Fardello dell’Uomo Bianco

Sia pur essendo noto per detenere egli stesso degli schiavi, sia pur in numero ridotto rispetto alla media dei latifondisti ed in buona parte ereditati dal suocero e liberati cinque anni dopo, Lee giustificava se stesso ed il trattamento anche rude ad essi impartito con la necessità, a suo dire, di impartire agli “uomini di colore” lezioni ed educazione che li avrebbero aiutati a “crescere come razza”

“There are few, I believe, in this enlightened age, who will not acknowledge that slavery as an institution is a moral and political evil. It is idle to expatiate on its disadvantages. I think it is a greater evil to the white than to the colored race. While my feelings are strongly enlisted in behalf of the latter, my sympathies are more deeply engaged for the former. The blacks are immeasurably better off here than in Africa, morally, physically, and socially. The painful discipline they are undergoing is necessary for their further instruction as a race, and will prepare them, I hope, for better things. How long their servitude may be necessary is known and ordered by a merciful Providence.

“Poche persone, ritengo, in questa era illuminata non ritengono che la schiavitù è un male politico e morale. È inutile dilungarsi sugli svantaggi. Credo sia un male maggiore per i bianchi che per i neri. Anche se i miei sentimenti sono sicuramente in favore di questi ultimi, le mie simpatie sono più profonde per i primi. I neri sono sicuramente più felici qui che in Africa, moralmente, fisicamente e socialmente. La rude e dolorosa disciplina a cui sono sottoposti è necessaria per istruirli come razza, e li preparerà, spero, ad un destino migliore. Per quanto tempo dovranno essere in servitù solo la Provvidenza benevola lo sa e lo detta.

Scrisse ancora in vita Lee a sua moglie appena un anno prima di ereditare nuovi schiavi da suo suocero.

Come tutti gli “schiavisti progressisti” del suo tempo Lee non riteneva affatto che la dura condizione degli schiavi, o la schiavitù stessa, fossero da combattere.

Riteneva semplicemente che fossero parte di una “missione Divina” dell'”Uomo Bianco” (il c.d. “Fardello”) per educare, elevare ed incivilire altri popoli da lui arbitrariamente ritenuti “inferiori”.

Quindi, potete continuare a studiare la vostra storia dai libri, e non dai memes.

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